25 novembre 2014 – Spettacolo a Palazzo Terragni lunedì sera
25 novembre 2014
Qualcosa a proposito di mafia sul territorio di Monza e Brianza
Sono 12944 i beni confiscati alla mafia in Italia, 1186 in Lombardia, 52 nel territorio di Monza e Brianza.
Per consultare i dati e le informazioni relative a ciascun bene confiscato visita il sito:
“Donne protagoniste nella lotta contro le mafie” – Giovedì 6/11/2014
Capire serve a cambiare
La storia della mafia è anche una storia di donne : sono le donne che compongono e subiscono la criminalità organizzata; sono le donne oggetto di vendetta per un torto subito in un contesto che non le riguarda direttamente; sono le donne che con il loro silenzio permettono alle mafie di mandare avanti i propri affari.
Sono le donne magistrato, giornaliste, sindaco che giorno dopo giorno combattono il sistema mafioso.
Leggere la storia delle loro vite serve a capire la natura stessa della mafia, la cultura di cui sono portatrici, il sistema di valori che la caratterizza, il modello sociale di riferimento.
Endometriosi: se ne parla in biblioteca venerdi’ 24 ottobre 2014
IL CINEFORUM riparte…
STORIE DEL LUNEDI: Maria Gabriella Luccioli, magistrato
“…è fatua, è leggera, è superficiale, emotiva, passionale, impulsiva, testardetta anzichenò, approssimativa sempre, negata quasi sempre alla logica e quindi inadatta a valutare obiettivamente, serenamente saggiamente, nella loro giusta portata, i delitti e i deliquenti”.
Chi è?
E’ “la donna giudice” ovverosia la grazia contro la giustizia”, così descritta in un libercolo di 70 pagine, pubblicato nel 1957 e scritto da Eutimio Ranelletti, presidente onorario della Corte di Cassazione,
L’ ammissione delle donne all’esercizio delle funzioni giurisdizionali in Italia ha segnato il traguardo di un cammino lungo e pieno di ostacoli.
La legge 17 luglio 1919 n. 1176 ammetteva le donne all’ esercizio delle professioni ed agli impieghi pubblici, ma le escludeva espressamente dall’ esercizio della giurisdizione.
Il dibattito in seno all’ Assemblea Costituente circa l’ accesso delle donne alla magistratura fu ampio e vivace e rivelatore delle antiche paure che la figura della donna magistrato continuava a suscitare:
- “nella donna prevale il sentimento sul raziocinio, mentre nella funzione del giudice deve prevalere il raziocinio sul sentimento” ( on. Cappi);
- “ soprattutto per i motivi addotti dalla scuola di Charcot riguardanti il complesso anatomo-fisiologico la donna non può giudicare” (on. Codacci);
- “non si intende affermare una inferiorità nella donna; però da studi specifici sulla funzione intellettuale in rapporto alle necessità fisiologiche dell’ uomo e della donna risultano certe diversità, specialmente in determinati periodi della vita femminile” (on. Molè)
- “si ritiene che la partecipazione illimitata delle donne alla funzione giurisdizionale non sia per ora da ammettersi. Che la donna possa partecipare con profitto là dove può far sentire le qualità che le derivano dalla sua sensibilità e dalla sua femminilità, non può essere negato. Ma negli alti gradi della magistratura, dove bisogna arrivare alla rarefazione del tecnicismo, è da ritenere che solo gli uomini possono mantenere quell’ equilibrio di preparazione che più corrisponde per tradizione a queste funzioni” (on. Leone)
Solo la legge n. 66 del 9 febbraio 1963 consentì l’accesso delle donne a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la magistratura.
Al primo concorso otto di loro risultarono vincitrici e nel 1965 entrarono nel ruolo della magistratura.
Una di queste era Maria Gabriella Luccioli.
Nata a Terni il 7 maggio 1940, nel 2008 diventa la prima donna nominata Presidente di sezione della Cassazione.
Nel 2007 in una importante sentenza sul caso di Eluana Englaro, afferma il “diritto alla autodeterminazione terapeutica” per i malati terminali.
Nel 2013 emana una storica sentenza nella quale legittima l’affido di un bambino a una coppia formata da due donne, in quanto “un bambino può crescere in modo sano ed equilibrato anche con una coppia omosex, non vii sono certezze scientifiche o dati di esperienza che provino il contrario”
Negli ultimi vent’anni le sue sentenze hanno influito notevolmente nella revisione del diritto di famiglia, dall’obbligo del cognome paterno per i figli legittimi, alla tutela del coniuge più debole, sull’assegno di divorzio, all’addebito di separazione.
Maria Gabriella non vuole solo fare carriera in un mondo maschile, ma vuole costruire un modello diverso di giudice, sulla base di competenza, proifessionalità, ma soprattutto di umanità e di sensibilità femminile.
Dice infatti che “il valore della differenza di genere non va negato dietro la toga anonima, ma rivendicato, perché arricchisce uomini e donne. Solo le donne possono introdurre la cultura di genere, i valori della differenza, il rispetto dei loro diritti. Con la loro presenza e le loro idee possono portare avanti certe battaglie che finora sono state quasi completamente ignorate da molti colleghi uomini, anche dai migliori”
Nel 2013 per la nomina del nuovo Presidente della Cassazione Maria Gabirella figura (per la prima volta una donna) tra gli 8 candidati.
La sua candidatura è sostenuta da diverse associazioni – Tribunale 8 marzo, Noi Rete Donne, C.I.F. (Centro Italiano Femminile), Soroptimist International d’Italia, U.D.I.(Unione Donne in Italia), A.N.D.E. (Associazione Nazionale Donne Elettrici),A.I.D.D.A. (Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti d’Azienda),C.N.D.I. (Consiglio Nazionale Donne Italiane, Noi Donne, Fondazione Bellisario, Arcidonna, Club Unesco d’Italia, Casa Internazionale delle Donne, Archivia, Unicpo– che, con una lettera al Predente della Repubblica, sottolineano che:
“è questa l’occasione per dare concretezza al processo da tempo in atto nella società civile e nelle istituzioni democratiche per la piena realizzazione della parità tra donne e uomini, parità che costituisce principio fondamentale della Unione europea…”.
Il 18 aprile la Corte vota il suo Presidente: è Giulio Santacoce.
Aspettiamo la prossima occasione……
STORIE DEL LUNEDI: Isa Bernardoni e il nudo maschile in arte
Vorrei raccontare di una grande donna che, pur essendo una madre e nonna esemplare, ha cercato con la sua attività concreta di aiutarci tutte a fare un passo avanti nel percorso verso la parità.
Adalgisa Vanetti nasce a Gallarate il 30/06/1930 e dopo la guerra si trasferisce a Milano dove conosce e poi sposa Giuseppe Bernardoni, pittore. Negli anni ’70 apre sul Naviglio una galleria d’arte.
Era un periodo di grande fervore culturale nel quale i grandi dogmi venivano messi in discussione, tra i quali il preconcetto della superiorità maschile. Per Isa questa è la grande battaglia, e in particolare, sente come umiliante per la “persona donna” l’essere sempre valutata in base all’aspetto fisico e il dover essere sempre “attraente”.
Organizza mostre sulle tematiche femminili, alcune incentrate sui libri della scrittrice Armanda Guiducci – i titoli più famosi sono “2 donne da buttare”, “La donna non è gente”.
La galleria diventa un centro culturale conosciuto, spesso ai vernissage è presente la critica Paola Fallaci.
La mostra più famosa rimane “Dalla costola di Eva” che dura dal 15 al 30 aprile 1977 e che nasce dal desiderio di sradicare lo stereotipo della donna-oggetto, sempre esposta allo sguardo maschile e vuole mostrare una donna soggetto attivo che dipinge il corpo dell’uomo.
Isa trova 5 pittrici di indiscusso talento e di forte personalità, che non temono il tema, per allora scandaloso, dell’amore della donna verso il corpo del maschio. Le pittrici trattano il nudo maschile in modo molto personale, ma comunque con la delicatezza e la dolcezza dell’amore verso il compagno.
La mostra ha notevole successo e grande rinomanza, tanto è vero che Isa replicherà circa 20 anni dopo.
(testo e foto di Lionella)
STORIE DEL LUNEDI: Antonia Masanello, la garibaldina
“Era bionda, era bella, era piccina ma avea
cor di leone e di soldato”.
Fu una donna speciale, moglie e madre e allo stesso tempo una combattente, vestì i panni di un uomo e un berretto per nascondere i lunghi capelli, era Antonia Masanello, l’unica donna della spedizione dei Mille di Garibaldi.
Dotata di temperamento audace e spirito battagliero, sin da ragazzina Tonina insieme al marito aiutò i connazionali del Lombardo-Veneto a espatriare in Piemonte per fuggire al dominio austriaco.
Quando seppe che Garibaldi stava organizzando una spedizione in Sicilia, affidata ad amici la figlioletta, si diresse insieme al marito a Genova per l’imbarco, ma quando vi giunse, la storica spedizione era già partita.
I due si imbarcano poche settimane dopo con una spedizione di rinforzo e raggiunsero i Mille a Salemi.
Per salire a bordo e partecipare alla spedizione “Masenela” fu costretta a camuffarsi da uomo e ad assumere l’identità di Antonio Marinello, il cognato .
Venne arruolata nel terzo reggimento della Brigata Sacchi e partecipò a tutta la campagna per la liberazione del sud Italia.
Tonia si fece onore in battaglia combattendo con lo stesso ardore di un soldato esperto e si guadagnò così il rispetto di quelli che conoscevano la verità.
Insieme ai Mille conquistò il Regno delle Due Sicilie, espugnò la fortezza di Gaeta, dove si erano rifugiati i sovrani borbonici e arrivò Roma.
L’incontro di Teano fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II, nuovo Re d’Italia, mise però fine all’avventura, la spedizione era finita!!!
L’esercito garibaldino venne sciolto, Antonia ottenne il berretto da caporale e il congedo con onore.
Lei e il marito tornarono a casa e vissero in povertà finchè, colpita da tisi, “Masenela” morì nella primavera del 1862. Sepolta nel cimitero fiorentino di San Miniato, questo l’epitaffio scritto dal poeta risorgimentale Francesco Dall’Ongaro :
“L’abbiam deposta, la Garibaldina
all’ombra della Torre di San Miniato
con la faccia rivolta alla marina
perché pensi a Venezia, al lido amato.
Era bionda, era bella, era piccina ma avea
cor di leone e di soldato.
E se non fosse che era donna
le spalline avria avute e non la gonna
e poserebbe sul funereo letto
con la medaglia del valor sul petto.
Ma che fa la medaglia e tutto il resto?
Pugnò con Garibaldi, e basti questo!”